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Verso la fine degli anni '70, l’Italia viene travolta dall'animazione giapponese. E cominciamo, di conseguenza, a familiarizzare con la loro costante rappresentazione delle divise scolastiche e degli eroi e supereroi nipponici.
Che vogliate considerare le divise scolastiche un ingombrante rimasuglio dell'indottrinamento militarista del Giappone imperiale, un simbolo dell’appartenenza alla vita studentesca, o un feticcio per chi vuole eroticizzare a tutti i costi le giovani protagoniste di queste storie, questi vestiti sono tutto questo, e anche di più.
Gli abiti sono protagonisti indiscussi di molti dei filoni narrativi dell'animazione e del fumetto giapponese, sono un simbolo dai significati profondi, che hanno a che vedere con le crescita, col raggiungimento della vita adulta e con i poteri che derivano dal divenire la forma più completa di sè stessi, anche quando non sono più divise militari né scolastiche ma diventano tute o armature colorate.
Nonostante un budget irrisorio, un lancio timido e diverse caratteristiche molto locali, Godzilla Minus One, uscito lo scorso dicembre, si è immediatamente rivelato un successo inaspettato, capace di dominare il box office americano per diversi giorni. Nei mesi successivi ha incassato una decina di volte il proprio budget, ha ricevuto una seconda distribuzione in bianco e nero e ha vinto l'Oscar ai migliori effetti speciali.
Un vero e proprio caso cinematografico, che risulta ancora più incredibile se pensiamo al terribile stato in cui versa l'industria cinematografica mondiale. In un momento nel quale prodotti americani con un budget dieci volte superiore a quello di Godzilla Minus One faticano ad andare in pari con le spese Godzilla riesce non solo a rivelarsi un'impresa di successo, capace di rinnovare la passione dei fan verso il mostro più famoso del cinema mondiale, ma anche a vincere un Oscar solitamente riservato alle grandi produzioni di Hollywood.
Ormai è da qualche tempo che la cultura nerd è diventata di tendenza, e di conseguenza è facile dimenticarsi di alcuni fatti che hanno riguardato le nostre nicchie appena poche decine di anni fa. Dalla furiosa autocensura nei fumetti degli anni '50 allo sdegno per la pubblicazione di Rule of Rose nel 2006, da DnD che avrebbe dovuto renderci tutti satanisti alla certezza che Ken il guerriero convincesse i ragazzi a lanciare sassi dal cavalcavia, a più riprese abbiamo visto le nostre passioni fatte a pezzi in nome della difesa dei bambini, presunti innocenti, indifesi e facilmente corruttibili dai prodotti culturali.
Col senno di poi possiamo chiamare questi episodi ciclici col loro nome: panico morale. Si tratta di un fenomeno non così raro, che non riguarda unicamente noi nerd e che è stato studiato fin dagli anni '70 da sociologi e psicologi.
Cosa unisce l'architettura nanica di Moria ai grattacieli di Gotham City? Per quale motivo la Raccoon City di Resident Evil sarebbe in qualche modo legata all'aldilà di Grim Fandango e alla distopia della Rapture di Bioshock? L'art déco!
Cos'è l'art déco? Cosa sono le arti decorative? Cos'ha di così particolare questo fenomeno del gusto, che ha riguardato tanto l'architettura quanto il design dell'oggetto? E come mai gli art director di giochi, film e altri prodotti di successo si prendono ogni genere di licenza poetica pur di far comparire reminescenze di questo stile nei loro lavori?
Saliamo su uno streamliner, una delle classiche locomotive degli anni '40, e facciamo ancora una volta un viaggio nel tempo alla ricerca delle sue origini, e scopriamo come mai dopo pochissimi anni dalla sua nascita divenne già sinonimo di decadenza, in senso sia astratto che materiale.
I fandom. Viste talvolta come felice risultato dello sviluppo dei media nel corso del tardo novecento, vissute talvolta come uno scomodo "male necessario" nella fruizione dei prodotti di culto del giorno d'oggi, queste masse caotiche di appassionati non sono mai state potenti quanto lo sono divenute nel corso degli ultimi anni.
Il fan è, naturalmente, sempre esistito. Ma il fandom non è solamente l'insieme dei fan. È una vera e propria micro-società, che dà vita ad associazioni, eventi, vere e proprie pratiche condivise come il #cosplay o le #fanzine.
La storia del cinema ci racconta di questo potere mediante un film di culto inatteso: Rocky Horror Picture Show.
With the collaboration of Mattia Bulgarelli (Awe Edizioni) and Zeth Castle.
Il franchise letterario creato da J. K. Rowling è oggi un vero e proprio impero. Il suo successo esplosivo e sconfinato ha trasformato Harry Potter in un vero e proprio patrimonio della cultura letteraria inglese, e forse anche mondiale. Al tempo stesso ciò ha reso la sua autrice una persona molto visibile e culturalmente influente.
Hanno avuto dunque molto risonanza le idee di cui questa si è fatta portatrice negli ultimi anni: quel che è iniziato come una semplice serie di like a dei tweet transfobici nel 2020 oggi si configura come una netta presa di posizione, che ha inevitabilmente polarizzato le posizioni dell'intero fandom di Harry Potter.
Cos'ha detto effettivamente J. K. Rowling? Perchè sono rilevanti le sue idee politiche e sociali? Qual è oggi lo stato delle cose?
La girella, ormai mitologia merendina degli anni '80, ha caratterizzato l'infanzia di un'intera fetta generazionale dell'"universo nerd" italiano di oggi. Al punto da far chiamare "girellari" tutti quelli che rimpiangono una fantastica età dell'oro in cui i fumetti e i cartonianimati, secondo loro, "non facevano politica".
Oggi, è evidente, cartoni animati e fumetti politica la fanno. Dai personaggi queer di Sandman alla creazione di interi universi supereroistici "al femminile" (ricordiamo Spider Gwen tra i personaggi più famosi), passando per i film Marvel con protagoniste femminili o di colore (basta questo per fare politica, apparentemente).
Noi ci puniamo una domanda: ma questa fantomatica età dell'oro, in definitiva, ESISTE?
With the collaboration of Mattia Bulgarelli, (Awe Edizioni).
Prendiamo i film di mostri giganti. Un genere prettamente escapista? Apparentemente sì. Una buona fetta dei film di Godzilla sono veri e propri cinepanettoni orientati a un pubblico infantile, in cui dei mostri giganti combattono tra di loro per il bene del pubblico ludibrio. E lo stesso si può dire dei monster movie americani.
Eppure anche i film di kaiju sono il risultato del lavoro di un gruppo di artisti che hanno giocoforza inserito nella propria narrazione alcuni frammenti della società e della cultura a loro contemporanee.
Prendiamo in mano questi film, a partire dal leggendario Godzilla del 1954, e andiamo a caccia di questi frammenti, osservando come i kaiju, a modo loro, ci raccontino la Storia.
With the collaboration of Mattia Bulgarelli (Awe Edizioni).
Dal femminismo all'inclusività, passando per l'ecologismo, la storia recente è piena di "grandi temi" che la cultura di massa ha dovuto giocoforza affrontare, vere e proprie arene che catalizzano il dibattito sociale ed entro cui, inevitabilmente, anche l'arte ha dovuto imparare a muoversi.
Ma che succede quando questi temi vengono affrontati male?
Nulla da dire quando l'opera è "piccola" e lascia una traccia minuscola nel patrimonio culturale mondiale: la macchia svanisce senza che nessuno ne tenga nota. Ma quando chi sbaglia è un "big" della produzione culturale, che si chiami Netflix, Disney, o Adriano Celentano, allora ci troviamo potenzialmente di fronte a veri e propri disastri comunicativi.
With the collaboration of Mattia Bulgarelli, (Awe Edizioni).
Cosa lega il noto conservatorismo di Lovecraft agli stereotipi etnici presenti in gran parte dei giochi di ruolo di successo degli ultimi decenni, da D&D a Vampire: The Masquerade? Cosa ci ha portati dalla lettera aperta di Tolkien in risposta agli editori delle sue opere nella Germania nazista alle proteste di una parte dei giocatori di Magic: The Gathering per la messa al bando di alcune vecchie carte, ormai inutilizzate a livello competitivo? Da dove nasce quel razzismo di fondo che apparentemente caratterizza le opinioni politiche di almeno una parte della nostra community?
La risposta è complessa, e passa per la definizione di una parola chiave: #bioessenzialismo.
With the collaboration of Mattia Bulgarelli, (Awe Edizioni).
Per quanto il “wizarding world” di Harry Potter sia un mondo immaginario come tanti, costruito su elementi simbolici posti in una maniera tale da farcelo apparire più o meno verosimile, sono tante le zone grigie nelle quali tali simboli si combinano in modo poco convincente. Creature di fantasia come i goblin o gli elfi domestici che sembrano portare con sé tratti stereotipati e razzisti, il sistema politico del mondo dei maghi che ci appare confuso e superficiale, la descrizione offertaci di certi elementi che cambia nel corso della saga.
Per quanto, come tutti i testi, anche Harry Potter sia un’opera imperfetta, bollare questi passaggi come mere sviste è sicuramente una semplificazione. Indagare queste zone grigie alla ricerca dei loro significati è un compito più arduo di quel che potrebbe sembrare a una prima occhiata. Tuttavia è dovere, per chi vuole criticare con coerenza il lavoro di J. K. Rowling, affrontare queste difficoltà così da comprendere, appieno, quale fosse la visione della sua autrice.
In un contesto nel quale aziende di giochi come Hasbro esplorano le potenzialità delle IA generative sono inevitabili le tensioni tra gli artisti e chi usa queste tecnologie nei loro processi creativi. Mentre gli artisti contestano l'idea di sostituire il lavoro umano con quello delle intelligenze artificiali, aziende come la Wizards of the Coast (D&D, Magic, Axis & Allies...) sperimentano in tal senso, rispondendo con messaggi contraddittori a chi si dimostra critico nei confronti delle loro scelte commerciali. Cionondimeno l'adozione delle IA anche in questi ambiti sembrerebbe un passaggio inevitabile del prossimo futuro, anche al fine di affrontare una diffusa crisi di settore.